21km - la distanza

sabato 12 settembre 2009 - ore 11:45 PM

Gli stradaioli (1964)

E' propria dei fondisti la facile tendenza a correre su strada. Paesi di scarse tradizioni o di tradizioni troppo antiche...organizzano traversate di città o altre gimcane da sagre, invitandovi gli assi del fondo. Ebbene nulla per un atleta è più dannoso della corsa su fondo duro (come ha dimostrato la tallonite di Kutz a Rio de Janeiro, la notte dell'anno 1958). La naturale precauzione di attutire i colpi induce a movimenti per contro innaturali e sconsigliabili. La meccanica della corsa tecnicamente intesa viene sconvolta: inutile che uno stradaiolo di mestiere aspiri a risultati apprezzabili. I nordici forniscono in proposito un esempio contrario molto eloquente. Essi cercano terreni torbosi e muschiosi per i propri allenamenti sul fondo e sullo stile. Acquistano in tal modo una meravigliosa elasticità di corsa e i risultati garantiscono per loro.
Gli stradaioli italiani sono, è triste riconoscerlo, gli stessi umili cursori che un tempo si impegnavano nelle competizioni dei lacchè. Alla fine il signore gli getta la monetina ed essi vanno, stanchi ed affranti, a far fuori il premio in osteria. Del resto, indurre dei primitivi del gesto atletico a non umiliare la propria natura in manifestazioni quasi del tutto estranee allo sport non è facile. Nessuno sgrugna per chilometri e chilometri su strade il cui asfalto si ammolla al sole per il solo gusto di correre (cioè per sport). E in pista non vi sono premi per la fame autentica degli stradaioli.
La corsa su strada ha però anche del buono. Agli effetti della propaganda può essere notevolmente utile. Molti tra i migliori fondisti della pista provengono da competizioni su strada, in montagna o attraverso i campi. Sarà compito e premura della Federazione controllare gli atleti, inibendo loro dispersioni dannose. Ci sembra ottima a questo proposito, la disposizione federale avversa all'organizzazione di gare su strada inferiori ai 15 chilometri. Chi vuol disputarle si faccia avanti e dimostri almeno di saper soffrire come deve un futuro autentico maratoneta. Le corse su strada, esaurito il loro compito di propaganda, ad altro non dovrebbero tendere che alla preparazione di specialisti della Maratona.


da Atletica Leggera - Culto dell'uomo, di Gianni Brera e Sandro Calvesi, Longanesi & C., 1964

6 Avete commentato:

Blogger Panda ha scritto...

In vena di segnalazioni, forse questi 10 euro per te, meneghino doc dal sangue nordeuropeo, potrebbero essere ben spesi:
"Milano è bella in bici", di Anna Pavan, Edizione Meravigli

7:48 AM  
Blogger GIAN CARLO ha scritto...

Brera è stato un grande, son cresciuto leggendo le sue recensioni, ma questo articolo mostra un palese segno del tempo

8:47 AM  
Blogger Furio ha scritto...

Bella segnalazione!

10:49 AM  
Blogger nicolap ha scritto...

Beh il segno del tempo è chiaro, sarebbe strano non si vedesse, anzi questo è uno degli estratti un po' più "attuali" rispetto ad altre cose che si leggono su quel libro, assai interessante per vedere come si ragionava 45 anni fa.
Alcuni spunti però dovrebbero far pensare: che la strada debba essere fondamentalmente pensata SOLO in chiave maratona è un principio che non sottovaluterei. Ex atleti di livello oggi sui 50 mi raccontavano che i loro allenatori li avrevvero radiati nel caso li avessero trovati a correre su asfalto (parlo di siepisti e mezzofondisti).

2:45 PM  
Blogger nicolap ha scritto...

Invece per il libro su Milano cercherò di dare un occhio in libreria, anche se sai, da 30 anni giro in bc per Milano, e purtoppo la bc o ce l'hai nel sangue o a Milano prendi paura.

3:08 PM  
Blogger Daniele ha scritto...

ho letto iersera quel capitolo, che avrei voluto commentare, ed ora google mi riporta qui.

il grande vecchio parlava di lavoratori dell'atletica: per noi "amatori", termine che avrebbe di certo ripudiato, asfalto o torba (magari!) o terra o tartan, tutto fa brodo. dobbiamo solo sfogare la passione (altra parola tabú).

10:17 AM  

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